Il filo biancorosso che lega il Basket Le Mura e icP

Il filo biancorosso che lega il Basket Le Mura e icP

Intervista alla capitana della squadra Maria Miccoli

Entusiasmo, grinta e passione. C’è tutto questo nelle parole di Maria Miccoli, da oltre due anni capitana del Basket Le Mura, la squadra di basket femminile che quest’anno, Industria Cartaria Pieretti ha deciso con orgoglio di sponsorizzare. I valori che per eccellenza identificano lo sport, come l’impegno, la collaborazione, la costanza, l’etica, la motivazione e la determinazione per raggiungere un risultato, del resto, sono molto vicini a quelli dell’azienda che sa guardare con fiducia alle future sfide da giocare.

Ecco quello che lega con un “filo biancorosso”, come il colore della maglia che veste Maria, il Basket Le Mura a Industria Cartaria Pieretti e che emerge chiaramente da questa intervista.

Perché in fondo, si può scendere in campo in tanti modi diversi… che sia sul parquet per andare a canestro e segnare il punto decisivo o attraverso scelte d’impresa per mantenere alta la qualità con attenzione all’ambiente e alla sostenibilità, ognuno gioca la sua grande partita. Al centro stanno la passione per il proprio lavoro, il desiderio di raggiungere gli obiettivi, la cura nel migliorarsi sempre, l’intenzione di creare un ambiente sano in cui ognuno possa esprimersi al meglio e, tramite il proprio contributo, possa ottimizzare gli sforzi e gioire per il risultato comune. Tutto questo è lo spirito di una squadra come il Basket Le Mura, ma anche di un team solido e proattivo come quello di Industria Cartaria Pieretti.

Maria, raccontaci un po’ di te. Da quanto tempo giochi a pallacanestro?

Ho iniziato da giovanissima con mia sorella gemella. Avevo solo 4 anni e ho continuato fino ai 19 nella squadra della mia città natale, Trieste. Quando la società ha riscontrato dei problemi ho capito di dovermi spostare e ho iniziato a trasferirmi un po’ in giro per l’Italia: questo è il quarto anno che gioco a Lucca.

A chi devi la passione per questo sport?

Vengo da una famiglia di sportivi. Ho avuto due zii che giocavano a pallacanestro mentre i miei genitori hanno sempre praticato altro: canottaggio e pallavolo.

C’è da dire però che ho condiviso questa passione con mia sorella gemella. Fino ai 19 anni abbiamo giocato assieme, poi lei si è concentrata più sullo studio e sul lavoro, ha fatto qualche anno in serie B e adesso è tornata in A2 a Trieste. A differenza di mio fratello che si è cimentato un po’ in tutti gli sport, io e mia sorella abbiamo provato il basket e ci è subito piaciuto molto.

Personalmente preferisco gli sport di squadra a quelli individuali: credo infatti che il gruppo abbia un grande valore. Siamo cresciute in una bella squadra di amiche. Negli anni, giocare e lavorare all’interno di un team ti arricchisce molto personalmente. Può essere difficile da un lato, ma dall’altro ti regala tante cose positive.

Cosa consiglieresti a chi si appassiona allo sport in generale?

Credo che il mio segreto per riuscire, dopo tanti anni, a restare nell’ambiente sia stato il volermi dedicare a più attività diverse, almeno finché ho potuto: impegnarmi a scuola, mantenere amicizie che non fossero per forza legate al basket, in modo tale da non far diventare lo sport il fulcro di tutta la mia esistenza. Poi, ovviamente, è arrivata un’età in cui ho dovuto fare delle scelte, ma il mio consiglio è quello di non focalizzarsi subito su una cosa: provare a mantenere aperte tante strade e saper gestire diversi ambiti.

Quand’è che alla fine hai deciso di mollare il resto e fare del basket una professione?

Finché sono rimasta a casa, a Trieste, non ho mai pensato che il basket potesse portarmi a girare l’Italia. Tra l’altro, usavo il compenso per continuare gli studi universitari. Lo sport era prima di tutto una passione che vivevo come professione. Quando poi ci ho riflettuto, ho capito però che non avrei mai potuto smettere di giocare.

C’è qualcosa a cui hai dovuto rinunciare?

Il fatto di dover vivere lontana da casa ti porta a rinunciare a tanti aspetti, come passare del tempo con la tua famiglia o con gli amici di una vita. Sacrifici che però non mi hanno mai pesato così tanto da rinunciare al basket. Poi è ovvio che, come in tutti gli sport, se vuoi fare bene, devi avere uno stile di vita di un certo tipo, curare l’alimentazione e il riposo… insomma, adottare una serie di comportamenti che fanno la differenza.

Per un periodo hai giocato a Lucca, poi ti sei allontanata e sei tornata. Com’è la tua esperienza a Lucca?

Sì, ho giocato qui l’anno dello Scudetto di Lucca e poi sono andata via per tre anni, durante i quali ho giocato un anno a Ragusa e due a Vigarano, vicino Ferrara. Post Covid, sono tornata a Lucca. Lucca è la seconda città nel mio cuore, prima c’è ovviamente Trieste. Adoro le cittadine non troppo grandi e qui c’è tutto a portata di mano: la montagna, il mare, la vicinanza con Firenze, il verde… insomma, a Lucca si vive proprio bene.

Se dovessi trovare un difetto a questa città?

Posso trovare un difetto personale. Sono lontana da casa e, a livello di trasporti, non è ben collegata quindi spesso fatico a tornare a Trieste. Anzi, se devo dire, torno davvero poco. Non abbiamo molti giorni liberi consecutivi e impiego 4 ore e mezzo di macchina per raggiungere Trieste.

Il ricordo più bello e quello più brutto della tua carriera?

Di bellissimi ricordi ne ho due. Lo Scudetto di Lucca e la promozione dall’A2 all’A1 a Trieste: sono stati forse i due anni migliori. A Trieste sono partita dalla serie B e poi, con le compagne di una vita, abbiamo fatto tutta la scalata fino all’A1. Purtroppo, poco dopo, la società ha avuto vari problemi. Così sono approdata a Orvieto e quindi a Lucca. A Lucca abbiamo vinto lo scudetto il primo anno in cui ero qua. È stato un anno intenso, ci allenavamo tanto, ma essendo alte in classifica c’era la voglia di fare sempre bene. Anche in quel caso, mi ha aiutato tanto il gruppo perché stavamo bene dentro al campo, ma anche fuori. Per questo siamo riuscite a giocarcela perfettamente.

Un ricordo brutto è stato l’anno di A1 a Trieste per come si è sfaldato tutto in un attimo, è stato davvero deludente.

Questa stagione come sta andando?

È un periodo difficile. Lo scorso anno abbiamo fatto una bella stagione al di sopra delle aspettative e quindi quest’anno ci si aspettava un po’ di più. Purtroppo, abbiamo affrontato diverse sfortune che ci hanno provate anche moralmente.

Qual è un sogno che ti piacerebbe realizzare?

Mi piacerebbe provare un’esperienza all’estero, in primo luogo come esperienza di vita. Sperimentare una cultura nuova, imparare a relazionarmi con persone che hanno tradizioni lontane dalle mie. E poi chiaramente mettermi alla prova in un contesto diverso anche in ambito professionale: la Francia e la Spagna, per esempio, hanno un alto livello di gioco nel basket.

Librilla. Cartiera dell’Adda con i lettori di domani

Librilla Cartiera dell’Adda con i lettori di domani

“Librilla – La scintilla che accende la voglia di leggere” è un progetto sostenuto da Cartiera dell’Adda rivolto ai lettori di domani e nato alcuni anni fa su iniziativa di Assocultura Confcommercio Lecco con l’intento di promuovere la lettura proprio già nei bambini in tenera età. Diversi i soggetti coinvolti: librerie, scrittori, insegnanti e genitori.

Perché leggere ai bambini? La lettura stimola la curiosità, fantasia e l’immaginazione, ha effetti positivi sulla memoria; per questo è così importante alimentare in loro la voglia di leggere.

Uno dei metodi più efficaci è la lettura ad alta voce fin da piccolissimi: è un atto d’amore che permette all’adulto di instaurare con il bambino un rapporto di complicità e fiducia.

Confcommercio Lecco ha predisposto degli shoppers contenenti libri da distribuire a 90 scuole e ai consultori del territorio lecchese. Tra i titoli selezionati c’è anche “Via del Sorriso 123” di Lodovica Cima che è stata anche testimonial di questa iniziativa.

Sul portale www.librilla.it si possono trovare video-letture e consigli per leggere libri con e per i bambini.